In quel periodo ero un giovane operaio metalmeccanico. Avevo iniziato a lavorare in fabbrica, per necessità familiari, già prima dei 15 anni ma, con il ’73, allo scoccare del quindicesimo anno d’età e in possesso del mio bel "libretto di lavoro”, potei finalmente iscrivermi alla FIOM-CGIL ed entrare a far parte della gloriosa FLM, Federazione Lavoratori Metalmeccanici. Ero, come allora tanti ragazzi, affascinato dalla politica che, a quell’epoca, aveva un respiro "globale” - dato il contesto storico, sarebbe meglio dire "internazionale” - dei problemi.
Mi capitò di lavorare per un periodo a Barzago, in una piccola fabbrica metalmeccanica, e ogni tanto veniva a distribuire volantini e a parlarci un giovane sindacalista barbuto, Tino Magni, un tipo schietto e fraterno. Diventammo amici, lui poi arriverà ai vertici della FIOM nazionale.
Nella pausa pranzo si mangiava quello che la mamma aveva preparato nel pentolino che ci si portava da casa (la "schiscetta”), e prima della sirena dell’una e mezza c’era tempo per una partitella a calcio o per leggere qualche pagina: il primo libro -non scolastico- che ho letto da cima a fondo (altro conto è dire se -a quell’età e senza alcuna base- lo abbia anche capito), fu "L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”, di Friedrich Engels (!). Lo avevo trovato nel cassetto dove mio papà, morto alcuni anni prima, teneva dei libri che aveva preso in sezione… era delle edizioni Rinascita, ancora di quelli del primo dopoguerra con le pagine unite, da separare con le forbici…
Dei temi internazionali discutevo in un gruppo extraparlamentare (come allora si diceva), Avanguardia Operaia, del cui Comitato lavoratori-studenti feci parte nei primi due anni di Istituto tecnico per geometri "Parini”-serale di Lecco. Le riunioni, nella sede di Via Previati, iniziavano alle 23.00, cioè alla fine delle lezioni, terminavano verso le una di notte! La mattina seguente, entro le 8.00, bisognava "timbrare il cartellino” per una nuova giornata in fabbrica ma, in mezzo, c’era un piccolo dettaglio: come coprire i 15 km per tornare a casa, da Lecco a Dolzago, a quell’ora di notte? Facile, …in autostop (!). Il Comitato era formato così: eravamo tre o quattro "autentici” lavoratori-studenti, più una decina di studenti delle superiori (diurne) o universitari, quasi tutti "figlio di”, che venivano ad indottrinarci. Non mi ci volle molto a capire che quell’ "avanguardia” di "operaio” aveva quasi solamente il nome e che, per un operaio, quello non era il posto più adatto… Il regalo forse più bello di quel periodo fu la conoscenza con Alberto Anghileri, lavoratore-studente che arriverà a dirigere, molti anni dopo, la Camera del Lavoro di Lecco.
E molto ne parlavamo, dei temi internazionali, nella FGCI (oggi è la Federazione del gioco del calcio; allora …dei giovani comunisti). Mi iscrissi nel ’73 al circolo di Oggiono, comune in provincia di Lecco. Era normale che gran parte delle discussioni, delle letture, delle polemiche, vertessero su ciò che avveniva nel mondo. Ed anche in fabbrica, nei quasi dieci anni in cui sono stato operaio, spesso la discussione con gli altri operai politicizzati, era sugli avvenimenti internazionali.
Nel novembre di quell’anno si tenne a Torino una immensa manifestazione di solidarietà con il Cile. C’era Sandro Pertini, e c’era Hortensia Bussi, vedova del Presidente Salvador Allende. Da Lecco partimmo con i pullman e, quella, fu la prima manifestazione nazionale a cui partecipai: fu sull’America latina! Evento carico di tensione, di dolore, di pathos… Per la prima volta in vita mia sentii le note della musica andina. Chi l’avrebbe mai detto che, oltre trent’anni dopo, a Santiago, avrei pranzato a casa Allende, con la ormai anziana Hortensia, invitato da Isabel, figlia di Allende e deputata socialista…
Il primo volantino, scritto a macchina sulla matrice a carta carbone e stampato al vecchio ciclostile a manovella della locale sezione PCI lo feci, insieme a Corrado Valsecchi ed Enrico Baroncelli: s’intitolava "Solidarietà al popolo cileno”. Era l’inverno del ’73, il Cile era caduto da alcuni mesi sotto la feroce dittatura di Pinochet; il Presidente Salvador Allende, il poeta Pablo Neruda, i musicisti-poeti Violeta Parra e Victor Jara erano morti, come tanti altri patrioti; e noi, ragazzini poco più che quindicenni, la notte di Natale distribuimmo quel volantino davanti alla chiesa parrocchiale di Oggiono. Ci sentivamo "davvero” vicini e solidali con il popolo cileno e le immagini di selvaggia violenza trasmesse dai telegiornali ci indignavano, spingendoci a impegnarci ancora i più. Corrado, sempre estroverso e inquieto, darà vita -molti anni dopo- alla grande associazione culturale lecchese Les Cultures e, in epoca ancora più recente, saprà inventarsi l’isola che …non c’era e regalarla ai suoi concittadini. Enrico, invece, si dedicherà con passione ad un sano giornalismo locale, iniziato in Valsassina.
Il "tema cileno” entrò prepotentemente nella politica del PCI: le riflessioni contenute nei tre lunghi articoli scritti da Enrico Berlinguer, e pubblicati sul settimanale teorico Rinascita, delinearono la strategia del "compromesso storico” proprio analizzando quanto successo in Cile e gli errori della sinistra. Quegli articoli aprirono un profondo e controverso dibattito interno, ed esterno, che ci accompagnò per anni fino all’assassinio di Aldo Moro.
Nelle riunioni in sezione o diffondendo porta a porta (quella vera) il quotidiano l’Unità, con Luisa Sozio, con Salvatore Barbagallo, con Carletto Redaelli, con il "Crippone”, con il "Crippetta”, e con molti altri compagni, tra i temi più discussi c’era sempre la politica estera. Con il gruppo dei più giovani, della FGCI, organizzammo un "corso ideologico” di vari mesi, e ci ritrovavamo in Sezione, di domenica pomeriggio (!): la prima lezione fu sul "Rapporto Dimitrov al VII Congresso del Comintern”, la III Internazionale (il famigerato –lo dico adesso- rapporto sul "social-fascismo”).
A Lecco, successivamente, conobbi e diventai amico di due famiglie di rifugiati politici: una di cileni e l’altra di uruguayani. Era impressionante stare a sentire i racconti di ciò che stava succedendo nei loro paesi e di quanto di terribile avevano vissuto direttamente loro o persone a loro vicine: racconti di dolore, di tortura, di violenza, che facevano aumentare la rabbia e la voglia di impegnarsi in politica per "cambiare le cose”.
Si tenevano manifestazioni, cortei studenteschi, sindacali e politici (memorabile un comizio di Giancarlo Pajetta in Piazza Garibaldi a Lecco). Erano gli anni della "strategia della tensione”, delle bombe e degli attentati fascisti, del terrorismo delle Brigate rosse e dei "colpi di Stato mancati”. Lecco era una piazza periferica ma la vicinanza a Milano influiva molto. Una sera, di fronte alla fiaschetteria Valsecchi (luogo di ritrovo della sinistra vecchia e nuova), da un’auto i fascisti spararono nel mucchio ferendo varie persone fra le quali Lello Colombo e Guido Alborghetti (quest’ultimo, cui mi legherà nei decenni successivi un costante e profondo rapporto politico ed umano, era consigliere repubblicano al Comune di Lecco e fu poi eletto, per diverse legislature, deputato del PCI).
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